Dare voce alla sostenibilità e al pensiero circolare: Luisa Prina Cerai

Raccontare un’azienda non significa solo descriverne i prodotti, ma trasmetterne l’anima, i valori e l’impatto sul mondo. E chi meglio di Luisa Prina Cerai per parlarne? Stratega della comunicazione, appassionata di sostenibilità e mente multidisciplinare, Luisa trasforma le aziende in storie che contano, facendo emergere ciò che le rende davvero uniche.

Con un approccio che unisce analisi, creatività e strategia, il suo lavoro spazia dalla brand identity alla comunicazione integrata, dai social media agli eventi, con un obiettivo chiaro: rendere tangibile il valore di un prodotto o di un’azienda e farlo arrivare alle persone giuste, nel modo giusto. Ma c’è di più: la sua vera missione è dare voce alle aziende circolari e sostenibili, raccontando il loro impatto e le loro scelte in modo chiaro, efficace e coinvolgente.

The Buns è un luogo di idee e visioni sul futuro del lavoro, del business e della società. E il futuro, come dice Luisa, è circolare. In un’epoca in cui la sostenibilità non può più essere solo una parola di moda, vogliamo capire con lei come si può comunicare in modo autentico e potente il valore di un’azienda che sceglie la strada della responsabilità.

Parleremo di strategie di comunicazione, di sostenibilità senza greenwashing, di storytelling fatto bene e di come il racconto giusto possa davvero fare la differenza. Perché oggi più che mai, le aziende non devono solo fare cose buone: devono anche saperle raccontare bene.

Piacere di averti qui, Luisa. Rompiamo il ghiaccio subito. Siccome il tuo lavoro va dalla strategia alla materia prima, ti sfidiamo a un gioco: se dovessi descriverti come un materiale sostenibile, quale saresti e perché?

Sarei sicuramente un materiale biobased, ovvero che non deriva da fonti fossili, ma da una biomassa vegetale, perché sono materiali rinnovabili e che spesso sfruttano materiali di scarto o da fonti naturali che ancora non abbiamo imparato ad usare al meglio.

Potrei essere magari una piastrella in bioplastica da alghe rosse francesi, una alternativa vegetale alla pelle fatta con scarti della produzione della birra o una piastrella fatta da gusci di conchiglie.

Tutti prodotti che sono già sul mercato e usati.

Oggi tutto è “sostenibile”, dalla crema per le mani ai calzini. Ma diciamolo: c’è tanta confusione e un bel po’ di greenwashing in giro. Secondo te, come si distingue un brand veramente responsabile da uno che si limita a tingere di verde la sua comunicazione? Quali sono i segnali d’allarme che ci fanno dire “Hmm, questa puzza di fuffa”?

Hai assolutamente ragione, lo capisco è difficile per tutti anche perché oggi ascoltiamo molto quello che dicono i social e l’advertising, fa sempre colpo. Diciamo che in linea di massima oggi ci sono approfondimenti che si possono fare, cercando di non affidarsi a prime informazioni ma più a dati concreti e comunicazioni ufficiali. Per esempio cercando, anche online, i bilanci di sostenibilità delle aziende che mettono nero su bianco gli obbiettivi raggiunti, quelli in divenire e quelli futuri, dando una visione complessiva di come si sta muovendo una realtà. Basta anche partire dalle etichette, che oggi danno molte informazioni sui prodotti, sul loro packaging e grazie a NFC e QR code anche sulla loro tracciabilità.

Il tuo motto è Il futuro è circolare, che suona in maniera stupenda, e ci riempie di fiducia. Ma facciamo un reality check: in che punto siamo davvero? Stiamo facendo progressi o il sistema economico continua a girare come un disco rotto sul consumo usa-e-getta?

Siamo in un momento di storica trasformazione di tutto il mondo che ci circonda, perché passare da un’economia lineare a una circolare richiede tempo, energie, costi e soprattutto un difficile cambio di mindset. Siamo avanti sulla raccolta differenziata in Europa, ma siamo ancora indietro per tante altre cose. Non si cambia in cinque anni un sistema economico mondiale, ma ci sono basi di trasformazione piccole in tanti campi e le nuove tecnologie ci stanno dimostrando che si può produrre in modo diverso. 

Servono normative comuni, incentivi e soprattutto fare rete, per creare sinergie e conoscenze delle case history che sono già sostenibili, anche se preferisco il termine responsabili, perché l’impatto zero non esiste.

Comunicare la sostenibilità è spesso un equilibrio delicato: troppo poco e non si nota, troppo e sembra opportunismo. Come si fa a trovare la misura giusta? Penso al tuo progetto Pensierocircolare, che racconta materiali e pratiche dell’economia circolare in modo concreto e ispirazionale. Che ruolo ha avuto nella tua visione della comunicazione sostenibile?

Pensierocircolare è un account Instagram che infatti ha allargato anche la mia visione della sostenibilità e in modo particolare dell’economia circolare che racconto, fornendomi da un lato competenze tecniche e dall’altra un approccio decisamente olistico. Perché è in continua evoluzione e quindi io stessa devo aggiornarmi costantemente.

È nato dai miei interessi e dal mio background professionale perché in pandemia non trovavo nessun account che raccontasse quello che cercavo. C’erano tanti account, per fortuna, già dedicati alla moda e alle azioni quotidiane per essere più responsabili ma niente che avesse un approccio circolare e che raccontasse i materiali partendo dalle materie prime.

Ogni mese racconto un materiale a 360 gradi, non solo nel design e nell’architettura ma anche nella moda, nel beauty, nel cibo: perché l’economia circolare oggi fa sì che un materiale passi da un industria all’altra, trovando nuove destinazioni d’uso. Oggi racconto un materiale dell’edilizia che domani trovo in una giacca o negli interni di un auto.

Certamente, come dici tu,  il mio focus sui materiali biobased e innovativi si è ampliato sempre di più, parlando anche delle fiere che frequento all’estero e in Italia, di normative e buone pratiche condivise, di risorse, eventi e molto altro. Questo per dire che la mia comunicazione è rigorosa nei suoi valori ma flessibile nelle sue forme. Non a caso la chiamo: #circularstorytelling.

E infine… Viviamo in un mondo in cui il fast fashion usa TikTok per farci comprare più vestiti in un giorno di quanti ne servano in una vita. Eppure, è anche il posto dove le nuove generazioni scoprono il concetto di economia circolare. Secondo te, i social possono essere alleati della sostenibilità o sono un’arma a doppio taglio?

Sì, dici bene, secondo i dati dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) e altre fonti il rifiuto tessile a persona in Europa è di circa 16 kg all’anno.

I social sono come tutti i canali di comunicazione un’opportunità, possono diventare dei boomerang quando creano disinformazione e per questo serve “scrollare” i feed ma poi approfondire, leggere, andare sui siti e aggiornarsi, perché siamo in costante evoluzione.

Chi oggi infatti cerca vie responsabili li sta sfruttando per far anche capire quanto sia complessa la sostenibilità e vada costruita un pezzo alla volta, proprio per durare nel tempo.

Quindi stiamo con il telefono in mano, scopriamo cose nuove e poi andiamo oltre, documentandoci e diventando consapevoli della realtà.

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